Ingenti risorse per qualificare tutto il sistema sanitario, in una logica di investimento in gran parte sostenuto da un prestito che va restituito
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), approvato dalla Commissione europea, rappresenta una occasione per dare un nuovo volto al Servizio Sanitario Nazionale in particolare per quanto riguarda la medicina territoriale che anche con la pandemia da Covid 19 ha messo in evidenza tanti ritardi e carenze.
ll PNRR è entrato ora nella fase di gestione delle ingenti risorse da utilizzare per la ripartenza del Paese. La disponibilità complessiva del Piano è di circa 235 miliardi di euro per le “Sei Missioni” previste, dei quali 20,23 miliardi per la Missione 6, quella relativa alla Salute, inclusi i finanziamenti del Fondo Complementare che si aggiungono al PNRR e quelli che vengono finanziati da risorse nazionali, nel quadro dell'iniziativa di assistenza alla “ripresa per la coesione e i territori d'Europa” (REACT-EU).
Non si deve dimenticare però che più del 60% delle risorse complessive è rappresentato da prestiti che saranno le generazioni future a dover restituire.
Questo sottolinea la enorme responsabilità della classe politica e dirigente, nella definizione delle priorità e delle logiche di spesa e di investimento. Le risorse arrivate dall'Europa e impiegate nel nostro Paese dovranno garantire un effettivo sviluppo di lungo periodo, generando crescita economica e sociale in modo da sostenere e ripagare il debito contratto.
E, per quanto riguarda l’ambito Salute, c’è la necessità di iniziare a considerare il termine investimento nel senso più ampio, considerando non solo gli aspetti infrastrutturali (edilizia, tecnologie mediche, dell'informazione e della comunicazione, etc.), ma anche e soprattutto l’aspetto della formazione delle “professionalità coinvolte” e prestando anche particolare attenzione alle attuali carenze nella organizzazione e nelle caratteristiche dei servizi, dei processi e nello sviluppo di competenze tecnico-specialistiche necessarie, oggi insufficienti nel SSN (ad esempio in campo manageriale, in ambito di gestione delle strutture intermedie e territoriali, nell’area digitale, etc.). Su questi temi si sta aprendo giustamente il dibattito sulle opportunità offerte dal PNRR e, soprattutto, su come sviluppare il complesso di governance che dovrà gestire le ingenti risorse messe in campo.
La Missione Salute nel PNRR
La Missione 6, come detto, è dedicata alla Sanità dove gli investimenti previsti dovrebbero servire a risolvere quelle criticità del nostro sistema sanitario che secondo le analisi degli studiosi del settore, rappresentano i veri punti deboli del sistema sanitario italiano e che possono essere sintetizzate come segue:
-significative disparità territoriali (interregionali e intraregionali) nell’erogazione dei servizi, in particolare in termini di prevenzione e assistenza sul territorio;
-mancata o insufficiente integrazione tra servizi ospedalieri, servizi territoriali e servizi sociali;
-tempi di attesa elevati per l’erogazione di prestazioni sanitarie diagnostiche e terapeutiche.
Macro obiettivi
Sulla base di queste criticità sono stati individuati due macro-obiettivi principali:
-il potenziamento dell’assistenza territoriale, compresa una maggiore integrazione tra servizi sanitari e sociali, attraverso anche la creazione di nuove strutture (come Ospedali di Comunità e Case della Comunità); il rafforzamento dell’assistenza domiciliare; lo sviluppo della telemedicina;
-la digitalizzazione e il rafforzamento del capitale umano del Sistema Sanitario Nazionale attraverso un forte impulso alla ricerca e alla formazione.
Il modello di “governance” per l’attuazione della Missione , deve fare i conti con altri due fattori cruciali: il forte decentramento nella progettazione, programmazione e gestione di attività e servizi, che vede le Regioni protagoniste e principali responsabili, con il sistema delle aziende sanitarie, dell'attuazione degli obiettivi.
Il secondo fattore è legato al fatto che i finanziamenti europei devono essere utilizzati entro 5 anni. Questo richiede da un lato capacità di elaborare innovazioni e cambiamenti da finanziare che siano convincenti agli occhi della Commissione europea, ma anche che siano supportati da una progettazione esecutiva efficace per ogni singolo intervento, così da essere attuati nelle singole aziende sanitarie locali, anche nei contesti regionali più problematici.
Le Case della Comunità: un punto di forza del cambiamento
Nell'ambito del macro-obiettivo che prevede il potenziamento della assistenza territoriale, un obiettivo sicuramente ambizioso ma altrettanto importante è la realizzazione delle Case della Comunità.
Secondo quanto previsto dal PNRR, le Case della Comunità sono strutture sanitarie in grado di erogare servizi e interventi con una modalità multidisciplinare, di carattere sanitario e sociale e di integrazione sociosanitaria. In queste strutture, il medico di medicina generale e il pediatra di libera scelta lavorano in équipe, in collaborazione con gli infermieri di famiglia, gli specialisti ambulatoriali e gli altri professionisti sanitari quali logopedisti, fisioterapisti, dietologi, tecnici della riabilitazione e altri. La presenza degli assistenti sociali nelle Case della Comunità rafforzerà inoltre il ruolo dei servizi sociali territoriali nonché una loro maggiore integrazione con la componente sanitaria assistenziale.
Le Case della Comunità (una ogni ventimila abitanti) dovranno occuparsi della prevenzione e della promozione della salute in particolare delle persone fragili, degli anziani e dei malati cronici e della presa in carico attraverso i programmi di assistenza domiciliare anche di malati complessi e critici come, ad esempio, i neoplastici in trattamento palliativo, gli insufficienti respiratori in ventilazione meccanica, i nefropatici in trattamento dialitico. Gestiranno anche i servizi dedicati alla tutela della donna, del bambino e dei nuclei familiari, secondo un approccio di medicina di genere. Potranno inoltre essere ospitati servizi sociali e assistenziali rivolti prioritariamente alle persone anziani e fragili.
Il Veneto, prima regione in Italia, già con l'approvazione del Piano Socio-Sanitario Regionale 2012-2016, aveva rilanciato la funzione dei medici di medicina generale, con l'adozione del modello aggregativo: le Medicine di Gruppo integrate e le Utap. Queste associazioni avevano rappresentato il primo abbozzo delle istituende Case della Comunità con risultati clinici, di risparmio economico e di soddisfazione degli utenti, lusinghieri. Si erano diffuse a macchia di leopardo nelle Unità Locali Socio Sanitarie del territorio regionale ma il loro sviluppo era stato fermato dalla stessa Regione per gli “alti costi di realizzazione” pur in presenza appunto dei significativi risultati raggiunti.
Con quali soldi?
Dopo la fase di avviamento si dovranno reperire ulteriori risorse soprattutto per il personale
L’investimento tramite i fondi europei prevede l’attivazione in tutto il territorio nazionale di 1.288 Case della Comunità (105 per il Veneto) entro la metà del 2026.
Ogni Casa della comunità costerà a livello strutturale e tecnologico circa 1,6 milioni di euro. Il costo complessivo dell’investimento è stimato in 2 miliardi di euro.
Tenuto conto che all’interno della Casa della Comunità vi saranno 5 unità di personale amministrativo, 10 medici di medicina generale e 8 infermieri, nel complesso serviranno 6.440 amministrativi e 10.091 infermieri in più. Queste figure professionali saranno implementate quando le Case della Comunità saranno diventate operative a pieno titolo, e quindi nel 2027 per cui il PNRR non prevede risorse per il loro finanziamento, dato che il suo effetto si esaurisce nel 2026. Inoltre, le risorse che dovranno finanziare l’assunzione di 16.531 persone dal 2027 sono molto incerte. Viene indicata la fonte di finanziamento solo di 2.363 infermieri (D.L. 34/2020 art.1 c.5) per 94,5 milioni di euro. Per il resto del personale (14.168) il cui costo stimato è di 567 milioni di euro non c’è finanziamento perché le risorse necessarie dovranno essere reperite attraverso una riorganizzazione dell’assistenza sanitaria che dovrebbe produrre i risparmi necessari. Ma le riorganizzazioni che dovranno essere messe in cantiere (riduzione dei ricoveri inappropriati, riduzione del consumo dei farmaci, riduzione degli accessi inappropriati al pronto soccorso, ecc.) molto difficilmente renderanno disponibili gli stanziamenti necessari per questo intervento.
Queste, allo stato attuale, sono le criticità che potrebbero rendere molto problematica la realizzazione di un progetto di riorganizzazione socio-sanitaria territoriale, per il nostro Paese, molto qualificante e atteso.