Lunedì, 04 Ottobre 2021 07:05

Caregiver

IN ITALIA OLTRE 7 MILIONI DI PERSONE SONO IMPEGNATE A PRENDERSI CURA DI UN FAMILIARE FRAGILE O NON AUTOSUFFICIENTE

Mancano riconoscimento giuridico e tutele adeguate, ma ci sono provvedimenti legislativi e previdenziali da utilizzare

 

“Io assisto da oltre un anno, 24 ore al giorno 7 giorni su 7, mia mamma, malata di tumore con metastasi al cervello e al midollo; queste ultime l’hanno resa non autosufficiente.  Ho 45 anni, sono nubile e ho dovuto lasciare il lavoro perché non ho nessun familiare disposto ad aiutarmi, con la scusa della lontananza e degli impegni di lavoro dei 2 miei fratelli… Ciò che mi pesa di più non è però lo stravolgimento della mia vita personale ma la mia incapacità di gestire in modo adeguato e da sola i momenti in cui i suoi dolori diventano insopportabili...”

 

“Sono una donna di mezza età che dal 2010 ha preso in mano la vita di un‘ altra persona, la propria madre …la storia di mia madre è quella di una donna con molte sofferenze, solitudine e con la vecchiaia un deficit cognitivo, psichico … che l'ha resa non più autosufficiente...  Mi pesa molto questa scelta, anche emotivamente, ma non me la sono sentita di affidarla ad un istituto, almeno finché ce la farò...”  

 

“Mio marito ha la Sla da oltre 10 anni e da 2 è immobilizzato a letto, alimentato artificialmente, respira attraverso una cannula tracheostomica collegata con un respiratore. Per poterlo assistere meglio, il nostro salotto è diventato una stanza di ospedale con i respiratori, i farmaci, le garze per le medicazioni... L'infermiera del Distretto che ci fa visita una volta la settimana mi dice che sono molto brava ad assisterlo e a destreggiarmi con tutte queste apparecchiature. Ma forse lo fa solo per incoraggiarmi perché io mi sento sempre molto incerta e insufficiente...”

 

Sono tre piccole ma significative testimonianze di tre “caregiver” familiari. Il termine anglosassone “caregiver” è entrato ormai stabilmente nell’uso comune; indica “colui che si prende cura” e si riferisce naturalmente a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato o disabile. Uomini e soprattutto donne di età, istruzione ed estrazione sociali differenti che si fanno carico del lavoro e della responsabilità di cura e assistenza del proprio caro.

 E’una responsabilità inconciliabile, nella maggior parte dei casi, con una qualsiasi attività lavorativa e spesso anche con una normale vita familiare che anzi viene quasi sempre stravolta. Si tratta di figure che gratuitamente e al di fuori del proprio ambito professionale si occupano di assistere i propri figli, i genitori, o altri familiari; spesso sono persone anziane e fragili, che presentano delle disabilità oppure che non sono autosufficienti. Solitamente le ore dedicate variano dalle 15 alle 25 settimanali. Ma talora l'impegno è quotidiano, 24 ore su 24.

 Queste persone si occupano dell’assistenza delle persone malate fornendo loro i farmaci e sovraintendendo a terapie talora complesse come l'uso di apparecchi elettromedicali; si occupano dell’approvvigionamento dei medicinali e della gestione degli appuntamenti delle visite mediche specialistiche. E sono anche tenuti ad occuparsi dell’igiene personale dei malati che assistono, dell'alimentazione nel caso in cui non siano autosufficienti.  Si tratta quindi di un lavoro davvero molto faticoso, a livello anche psicologico oltre che fisico.

 

Secondo dati ISTAT pubblicati nel 2018, sono più di 7 milioni gli italiani impegnati nel caregiving non professionale, a favore cioè di propri familiari.

La maggior parte dei “caregiver” si occupa di pazienti con demenza e sono in genere donne (74%), di cui il 31% di età inferiore a 45 anni, il 38% di età compresa tra 46 e 60, il 18% tra 61 e 70 e ben il 13% oltre i 70 anni.

 

Queste figure sono fondamentali per la società, soprattutto in un paese come l’Italia, nella quale vi è un generale invecchiamento della popolazione dovuto anche ai progressi della medicina e alla cronicizzazione di molte malattie. Nonostante ciò, nel nostro Paese la figura del caregiver non viene riconosciuta e valutata adeguatamente e solo negli ultimi anni si sta lavorando ad una legge che possa aiutare concretamente chi svolge questa attività di assistenza. Molti caregiver famigliari si ritrovano in questa situazione per necessità improvvisa e sono spesso impreparati di fronte alle competenze necessarie per svolgere questo ruolo e alle conseguenze che questa attività avrà sulla vita quotidiana e familiare. Difatti il caregiver familiare è una persona comune, quasi sempre sprovvista di qualsiasi preparazione per una assistenza alla persona e ancor meno per una assistenza sanitaria spesso complessa, che, per scelta o necessità, si trova ad assistere un suo caro e affrontare le problematiche del caso.

In mancanza di questo volontario disponibile ad assistere il proprio familiare, le soluzioni possibili per assistere la persona non autosufficiente sono due: l'istituzionalizzazione con il ricovero presso una casa di riposo con rette sempre più costose e una qualità della assistenza sicuramente alta per alcune case ma più spesso bassa e insufficiente; oppure l’assunzione di un caregiver professionale. In ogni caso con la perdita per l'assistito di quelle relazioni familiari, umane e affettive che solo un caregiver familiare può apportare in questa fase critica della sua esistenza.  

 

Nell’ambito del lavoro di cura, in Italia, a differenza di molti altri Paesi europei, questa figura non ha una adeguato riconoscimento giuridico né sufficienti tutele.

Chi riesce a continuare a lavorare, può usufruire della legge 104/92 che consente, quando possibile, una sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere; inoltre, tre giornate di permessi retribuiti al mese per tutti coloro che devono assistere i familiari malati. Nei casi più gravi si ottengono dei congedi straordinari fino a due anni. Ciò però non può essere considerato sufficiente per permettere al caregiver di avere una vita privata che possa andare al di là dell’assistenza del malato.

A livello pensionistico, come stabilito dalla legge 205/2017, prorogata fino a fine 2021 dalla Legge di Bilancio, i lavoratori che assistono un parente convivente disabile possono beneficiare, a determinate condizioni, dell'Ape Sociale o della pensione anticipata. Inoltre, a livello assistenziale l'INPS eroga una “indennità di accompagnamento”, una prestazione economica a favore dei mutilati o invalidi totali, per i quali sia stata accertata l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore ovvero l’incapacità a compiere gli atti quotidiani della vita. Ci sono inoltre alcune agevolazioni IRPEF o IVA a beneficio dei caregiver che hanno fiscalmente a carico il familiare.

A fine 2020, la Legge di Bilancio 2021 (Legge 178/2020) ha istituito un nuovo Fondo per il riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale svolta dal caregiver familiare, noto come “Bonus caregiver 2021”, con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021-2023.  Le risorse sono destinate alle Regioni, che le utilizzano per interventi di sollievo e sostegno destinati al caregiver familiare e, al Veneto, sono stati assegnati quasi 5 milioni e mezzo di euro i cui criteri di distribuzione sono stati approvati dalla Giunta regionale con una specifica delibera pubblicata sul Bur n. 46 del 6 aprile 2021.

Gli uffici di assistenza sociale dei Comuni possono dare indicazioni e consigli più dettagliati a chi fosse interessato accedere a tali interventi.

 

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