IL MEDICO DI FAMIGLIA DEVE CONSERVARE LA PROPRIA AUTONOMIA, IN UN RAPPORTO DI FIDUCIA CON I PAZIENTI E CON UNA PRESENZA CAPILLARE SUL TERRITORIO
Nello scorso mese di gennaio è stato firmato l'Accordo collettivo nazionale (Acn) per la Medicina generale 2016-2018. L’accordo è infatti relativo ancora al biennio 2016/2018 e riguarda 40 mila Medici (sui totali 44.000 circa) di medicina generale perché è stato al momento sottoscritto dal sindacato maggioritario Fimmg (Federazione Italiana Medici Medicina Generale) e dalla Cisl Medici. Un traguardo importante dopo una lunga ed impegnativa trattativa e che contiene aspetti innovativi per la medicina del territorio ed è fondamentale per colmare il ritardo accumulato in questi anni di emergenza pandemica in cui i Mmg ( molti dei quali sono tra i 370 medici deceduti per covid-19) hanno lavorato senza Acn, e sono stati in prima linea con compensi inadeguati, e soprattutto “spesso sono stati lasciati soli e senza adeguati supporti da parte delle Aziende sanitarie” (Silvestro Scotti Segretario nazionale della Fimmg).
Abbiamo assistito in questi mesi di pandemia a dei grossi limiti e alle tante carenze della medicina territoriale che si è dimostrata sicuramente impreparata, in gran parte delle Regioni, a far fronte alla assistenza e alla cura dei pazienti, soprattutto degli anziani, colpiti dal Covid 19, molti dei quali sono deceduti. Ma nonostante questo, in base ai dati raccolti da un’indagine condotta da Euromedia research (giugno 2021), il 77,5% degli intervistati dimostra piena fiducia e considera il ruolo del Medico di famiglia centrale nella vita e nella quotidianità delle persone.
Tra le novità più importanti dell'accordo siglato c'è l’evoluzione del modello organizzativo territoriale attraverso l’istituzione su tutto il territorio nazionale delle Aggregazioni Funzionali Territoriali dei Mmg (AFT già previste in Veneto ormai da una decina di anni anche se non ancora completamente realizzate) vale a dire una decisa opzione per il lavoro di gruppo dei Mmg.
In questi mesi, inoltre, si è sviluppato un forte dibattito rispetto al rapporto di lavoro dei Mmg nelle Aziende sanitarie locali.
A sollevare il problema, che ha visto l'immediata opposizione dei sindacati dei Mmg, sono stati, nello scorso mese di settembre gli Assessori regionali alla salute che hanno firmato un documento in cui propongono il passaggio dei Mmg alla dipendenza alle Regioni o di accreditarli oppure infine di avviare un regime misto. Nel documento si fanno varie ipotesi sul futuro inquadramento dei medici ma viene ribadito anche un punto fermo che sembra essere in realtà incompatibile proprio con la dipendenza: il rapporto fiduciario con i pazienti deve restare perché tutti i cittadini continuino ad avere un medico di famiglia o un pediatra di riferimento. Il documento sostiene inoltre che l'obiettivo è di portare, quando possibile, le cure a casa dei cittadini o comunque vicino, in ambulatori e presidi sanitari presenti nelle città e nei paesi. In questo senso si stanno definendo, come è noto, le "Case della Comunità", l'unico modo, secondo gli Assessori regionali, per dare una risposta ai cittadini "anche perché è già stato avviato con i finanziamenti previsti nel PNRR, un investimento non indifferente su queste strutture". Gli Assessori regionali aggiungevano, sempre nel documento, che per come è organizzata oggi la medicina generale da un lato "non riesce ad essere valorizzata all'interno dei sistemi regionali, diventando un ostacolo al percorso di sviluppo e ristrutturazione". E dall'altro non consente di attuare un sistema di controllo adeguato considerato che per quanto riguarda la convenzione "non si contempla un sistema di valutazione che abbia delle effettive ricadute e possa costituire un incentivo". Ovvero non è possibile intervenire su chi sbaglia o non fa il proprio dovere.
A sostegno della opposizione dei Mmg alla proposta degli Assessori regionali è arrivato in questi giorni il “Rapporto Mercer” coordinato dall' ex ministro del Wellfare Maurizio Sacconi, centrato proprio sulla riforma della medicina territoriale, i cui risultati vanno nella direzione di sostenere la posizione dei Mmg di continuare ad auto-organizzarsi e convenzionarsi senza passare alla dipendenza che si configurerebbe come compromesso perdente per loro e anche per i cittadini e per lo stesso Servizio Sanitario Nazionale.
Il documento - nel ricordare che il Recovery Plan stanzia 7 miliardi per 1350 Case della Comunità dove ospitare Mmg e Pediatri ma anche Infermieri di comunità, Medici specialisti (cardiologo, pneumologo, diabetologo), Assistenti sociali, Logopedisti, Fisioterapisti- esplora l'ipotesi di trasformare il Mmg in pubblico dipendente. Scarta questa ipotesi perché il paziente, perderebbe la libertà di scelta e il rapporto fiduciario, non aderirebbe alle cure; inoltre i medici costerebbero di più sia perché godrebbero di ferie, permessi, assenze e sostituzioni a carico del Ssn, sia perché per l'Azienda Sanitaria crescerebbero gli oneri di conduzione di strutture e strumenti di sua proprietà. Tutto ciò, a fronte di orari di reperibilità più limitati per gli utenti, di scarsi incentivi data la ridotta quota di compenso legata alla performance, di minor tempo per la formazione continua, di rigidità strutturali nel garantire la prossimità fin qui offerta dagli studi "capillari". Inoltre secondo simulazioni l’Enpam che è l'ente di previdenza dei medici, con il passaggio a dipendenza, genererebbe nella Fondazione una voragine di ben 84 miliardi di euro.
Il Rapporto Mercer ipotizza una soluzione sul tipo delle “società tra professionisti-StP” previste dall' all'articolo 10 della legge 183/2011. La figura giuridica della StP (Società tra Professionisti) iscritta all'ordine, consentirebbe a ciascuno dei medici partecipanti di convenzionarsi con il SSN "garantendo, nel rapporto fiduciario pure la qualità dei colleghi destinati a sostituirlo". Stipendio e contributi andrebbero al singolo professionista che partecipa alle spese della struttura. Non è esclusa però per la StP la possibilità di avvalersi di una cooperativa di servizio dei Mmg come quelle oggi esistenti per le attività di supporto e il contenimento dei costi di acquisto.
Anche la Fimmg, che, come detto, è il sindacato più rappresentativo dei Medici di famiglia, nei mesi scorsi ha elaborato un documento inviato alle istituzioni, con le proposte per una revisione della Medicina generale. I Medici di famiglia ribadiscono la disponibilità a ridiscutere nuove modalità operative ma "blindano" la capillarità degli studi e lanciano la proposta di una rete "Hub&Spoke" con le Case della Comunità (nel ruolo di Hub) previste dal PNRR, asserendo che solo mantenendo gli studi aperti in forma di Aggregazioni funzionali territoriali (Spoke) si riesce a preservare il rapporto fiduciario che li lega al paziente. "La medicina di famiglia - si legge nel documento - va vista in quanto Lea (Livello essenziale di assistenza) e a partire da questo presupposto va sostenuta come mai è stato fatto fino a oggi malgrado i proclami. Il convenzionamento è l'unico rapporto possibile”.
Questo del ruolo del Medico di medicina generale nella ormai imminente riorganizzazione della medicina territoriale, è dunque uno dei nodi centrali che va quanto prima risolto nell'interesse prioritario della assistenza sanitaria alle persone e della riuscita del processo stesso di riorganizzazione.